Introduzione
La rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha avuto ripercussioni significative su diversi settori dell’economia globale, in particolare sul mercato finanziario e sugli investimenti ESG. Tra le prime misure intraprese, il Presidente Trump ha annunciato una nuova uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima e ha firmato l’ordine esecutivo “Unleashing American Energy“. Quest’ultimo, nella sezione intitolata “Terminating the New Green Deal”, prevede la sospensione di circa 380 miliardi di dollari precedentemente destinati a infrastrutture verdi, nell’ambito dell’Inflation Reduction Act e della legge bipartisan sulle infrastrutture.
Tale decisione appare in linea con la narrativa anti-ESG già promossa nel suo primo mandato. All’epoca, Trump aveva infatti modificato o annullato circa 100 regolamentazioni ambientali, favorito la produzione di combustibili fossili e ritirato gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi del 2015. Inoltre, prima del suo nuovo insediamento, ha designato a ruoli chiave personalità notoriamente scettiche verso l’approccio ESG, come Elon Musk, che ha definito l’ESG una “truffa” e “il diavolo].
Un impatto particolarmente rilevante si osserva sulle politiche aziendali in materia di diversità, equità e inclusione (DEI), che stanno subendo un deciso ridimensionamento, anche da parte degli investitori, come analizzato nei paragrafi successivi.
Il de-committment delle banche USA sui temi ESG
Nei tre mesi successivi alle elezioni presidenziali, numerosi operatori finanziari statunitensi hanno abbandonato i propri impegni di sostenibilità.
Le continue dispute legali e la crescente pressione politica contro tutto ciò che è collegato direttamente o indirettamente agli ESG ha spinto i maggiori gestori patrimoniali, tra cui BlackRock Pacific Investment Management Co. (PIMCO), Goldman Sachs Asset Management e Jp Morgan Asset Management a ritirarsi dall’alleanza Climate Action 100+. Al contrario, giganti europei degli investimenti come Amundi, UBS Asset Management e BNP Paribas Asset Management hanno continuato a farne parte.
Contestualmente, Morgan Stanley, Bank of America, Goldman Sachs, Wells Fargo, Citigroup e JPMorgan hanno deciso di lasciare la Net Zero Banking Alliance. Attualmente aderiscono all’iniziativa 81 istituti di credito europei, mentre negli Stati Uniti la partecipazione è limitata a soli tre istituti: Amalgamated Bank, Areti Bank e Climate First Bank. Tra gli aderenti europei figurano nove delle dieci principali banche italiane per capitalizzazione di mercato, a conferma di un impegno consolidato.
Infine, assets manager come Vanguard e BlackRock hanno ritirato il proprio supporto alla Net Zero Asset Managers Initiative.
Questo fenomeno è stato amplificato da una causa legale intentata da undici stati americani a guida repubblicana, che hanno accusato BlackRock e altre istituzioni finanziarie di aver politicizzato le loro strategie di investiment.
La recente tendenza di note aziende statunitensi come Meta, McDonald’s, Walmart, Bank of America e BlackRock di ritirare o ridimensionare le loro iniziative di DEI ha avuto un impatto sul de-commitment delle istituzioni finanziarie anche in quest’ambito. Ad esempio, CitiGroup ha modificato la denominazione del proprio team “Diversity, Equity and Inclusion and Talent Management” in “Talent Management and Engagement“, mentre JPMorgan ha apportato cambiamenti ai propri programmi DEI, riformulando alcuni termini chiave per adeguarsi alle nuove tendenze di mercato e alle variazioni normative.
Flussi di investimento nei fondi ESG: confronto tra Q1 e Q4 2024 negli Stati Uniti e in Europa
Contesto generale e trend pre-2024
La tendenza anti-ESG aveva iniziato a consolidarsi negli Stati Uniti già verso la fine del 2023, anno che si è rivelato il peggiore per i fondi sostenibili nel Paese, registrando deflussi netti pari a 13 miliardi di dollari. Questa dinamica ha trovato ulteriore conferma nel primo trimestre del 2024, quando i fondi ESG statunitensi hanno registrato deflussi significativi, mentre in Europa il trend si è mantenuto positivo.
Q1 2024: Divergenza tra Stati Uniti ed Europa
Nel primo trimestre del 2024, i fondi ESG statunitensi hanno subito deflussi per un totale di 9 miliardi di dollari. Nonostante l’influenza politica dell’elezione di Donald Trump, il disinvestimento dai fondi ESG era già stato avviato nei trimestri precedenti. L’incertezza normativa e un generale atteggiamento di maggiore cautela del settore finanziario hanno portato a un indebolimento del commitment ESG da parte di numerosi investitori istituzionali.
A differenza degli Stati Uniti, il mercato europeo dei fondi ESG ha mantenuto una traiettoria positiva. Nel primo trimestre del 2024, gli afflussi netti nei fondi sostenibili europei hanno raggiunto 8.4 miliardi di dollari, confermando un trend stabile di crescita.
Q2 2024: Il divario si amplia
Nel secondo trimestre del 2024, i fondi ESG statunitensi hanno continuato a subire deflussi, pari a 4,7 miliardi di dollari nello stesso periodo, sebbene in calo rispetto ai 9 miliardi del primo trimestre.
D’altro canto, i fondi sostenibili in Europa hanno registrato afflussi netti per 11,1 miliardi di dollari nello stesso periodo, in aumento rispetto agli 8,4 miliardi del trimestre precedente.
Q3 2024: Leadership europea e deflussi in calo ma persistenti in US
Nel terzo trimestre, i fondi ESG negli Stati Uniti hanno registrato deflussi per 2 miliardi di dollari, in miglioramento rispetto ai 4,7 miliardi del trimestre precedente.
Parallelamente, i fondi sostenibili europei hanno registrato afflussi netti per 8.9 miliardi di dollari, leggermente inferiori agli 11,1 miliardi del secondo trimestre[8].
Q4 2024: Ripresa globale con divergenza regionale
L’ultimo trimestre del 2024 ha segnato una fase di ripresa per i fondi ESG a livello globale. Gli afflussi netti hanno raggiunto i 16 miliardi di dollari, rappresentando il risultato più elevato dell’anno. Tale recupero è stato trainato dai maggiori flussi in entrata registrati in Europa, che hanno compensato il ritmo sostenuto dei deflussi negli Stati Uniti.
Nonostante la ripresa globale, nel quarto trimestre del 2024 i fondi ESG statunitensi hanno registrato deflussi pari a 4,3 miliardi di dollari, più del doppio rispetto al trimestre precedente. L’insediamento della nuova amministrazione Trump, caratterizzata da un orientamento esplicitamente anti-ESG, ha ulteriormente indebolito la fiducia degli investitori.
In Europa, gli afflussi nei fondi ESG sono più che raddoppiati rispetto al trimestre precedente, raggiungendo 18,5 miliardi di dollari nel Q4.
Tuttavia, su base annua, gli afflussi complessivi sono diminuiti da 77,7 miliardi di dollari nel 2023 a 52,4 miliardi nel 2024, riflettendo un rallentamento nel secondo e terzo trimestre.
Sebbene si registri una flessione degli afflussi annuali, il patrimonio complessivo dei fondi ESG a livello globale ha raggiunto i 3,2 trilioni di dollari a fine 2024, segnando un incremento dell’8% rispetto all’anno precedente e una triplicazione rispetto a cinque anni prima. Le dinamiche di mercato restano tuttavia influenzate da diversi fattori critici, quali la sottoperformance di alcune strategie ESG in un contesto di tassi d’interesse elevati, i timori legati al greenwashing e i cambiamenti normativi.
Q1 2025: Prosegue il disallineamento tra i mercati
Nel primo trimestre del 2025, il divario tra Europa e Stati Uniti nei flussi ESG si è ulteriormente ampliato: nei soli primi due mesi dell’anno, i fondi ESG domiciliati in Europa hanno registrato afflussi netti pari a circa 3,5 miliardi di dollari, mentre negli Stati Uniti si sono verificati deflussi per 3,1 miliardi.
Tra gli operatori più colpiti, State Street ha perso mandati significativi nel Regno Unito e in Scandinavia, tra cui un mandato da 28 miliardi di sterline da parte di The People’s Pension, che ha scelto di riallocare gli asset presso Amundi e Invesco. Anche BlackRock è finita sotto osservazione: il fondo pensione olandese PME sta valutando la riassegnazione di un mandato da 5 miliardi di euro a causa del cambiamento di posizione dell’asset manager sui temi climatici.
Secondo Jean-Jacques Barbéris, responsabile ESG di Amundi, la chiarezza e coerenza dell’approccio sostenibile dell’asset manager si è rivelata determinante nel mantenere la fiducia degli investitori istituzionali europei, i quali continuano a privilegiare una visione di lungo periodo.
Un approfondimento sui flussi: il ruolo strategico dei nomi dei fondi ESG in Europa
Un’ulteriore chiave di lettura utile a interpretare la resilienza dei flussi ESG in Europa è offerta dal report pubblicato da ESMA il 10 aprile 2025, intitolato “Fund names: ESG-related changes and their impact on investment flows”. L’analisi, che copre il periodo 2009–2024, evidenzia come l’inserimento di riferimenti ESG nei nomi dei fondi costituisca un potente segnale per gli investitori, in grado di influenzare in modo significativo i flussi di capitale.
Tra il 2018 e il 2024, oltre 1.800 fondi domiciliati in Europa hanno modificato il proprio nome per includere un termine ESG, pari al 2,5% dell’universo totale. L’adozione di tali riferimenti ha avuto effetti misurabili: l’aggiunta di un termine ESG è associata, in media, a un incremento dei flussi netti pari all’8,9% degli asset under management nei dodici mesi successivi al cambiamento.
L’effetto si concentra in particolare nei fondi che adottano termini legati alla dimensione ambientale, come “climate”, “green” o “impact”, che registrano un aumento cumulativo dei flussi pari al +16%. Al contrario, i fondi che impiegano termini riferiti alla sostenibilità generica o a tematiche sociali/governance non mostrano impatti statisticamente significativi. Questo suggerisce una marcata preferenza da parte degli investitori europei per fondi che si posizionano esplicitamente sulla dimensione ambientale dell’ESG, coerentemente con le priorità regolatorie e culturali del contesto europeo.
In definitiva, la capacità dei fondi europei di attrarre flussi positivi anche in un contesto geopolitico incerto sembra legata non solo alla stabilità normativa, ma anche alla trasparenza e credibilità percepite dai risparmiatori. La denominazione dei fondi emerge quindi come una leva strategica nella costruzione di fiducia, soprattutto in Europa, dove la coerenza tra comunicazione e contenuto rappresenta un elemento distintivo rispetto al mercato statunitense.
Quota di mercato ESG
L’Europa continua a detenere una posizione dominante nel mercato globale dei fondi sostenibili. A fine 2024, l’Europa rappresentava circa 2,7 trilioni di dollari in asset ESG, distribuiti su oltre 5.500 fondi e corrispondenti all’84% del totale globale. Al contrario, gli Stati Uniti hanno visto la loro quota di mercato scendere all’11%, con soli 612 fondi attivi, rispetto al 15% di sette anni prima.
Nel complesso, mentre i flussi netti verso i fondi ESG statunitensi si confermano negativi, l’impatto sull’universo globale è limitato grazie ai consistenti afflussi europei. L’Europa appare quindi non solo come il principale sostenitore del mercato ESG, ma anche come potenziale beneficiario di un riassetto globale della finanza sostenibile.
L’Europa continua a detenere una posizione dominante nel mercato globale dei fondi sostenibili, grazie a una combinazione di fattori regolamentari, culturali e strategici. Innanzitutto, il quadro normativo europeo risulta essere tra i più avanzati al mondo: regolamenti come la SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation), la Tassonomia UE e la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) hanno spinto gli operatori finanziari a integrare criteri ESG nei propri prodotti, portando alla creazione di un’ampia gamma di fondi sostenibili. Queste norme, oltre a garantire maggiore trasparenza e comparabilità, hanno favorito lo sviluppo di un mercato maturo e strutturato.
A questo si aggiunge una cultura della sostenibilità più radicata tra gli investitori europei, sia istituzionali che retail. In molti paesi del continente, in particolare nel Nord Europa, l’attenzione verso le tematiche ambientali e sociali è parte integrante dei processi decisionali di investimento. Al contrario, negli Stati Uniti, il settore ESG ha incontrato maggiori ostacoli, anche a causa di un recente “backslash” politico che ha messo in discussione l’opportunità di integrare criteri ambientali e sociali nelle scelte finanziarie.
Infine, va considerata la presenza in Europa di grandi player internazionali come BlackRock, che ha sedi in numerose città europee – tra cui Londra, Milano, Parigi e Francoforte – e ha sviluppato una parte significativa della propria offerta ESG proprio per il mercato europeo. Questo ha permesso al continente di consolidare la propria leadership anche grazie alla spinta strategica di attori globali che vedono nell’Europa un contesto fertile per l’innovazione sostenibile.
Il ruolo della Cina nel panorama ESG
Mentre Stati Uniti ed Europa divergono nelle strategie ESG, la Cina può sviluppare potenzialmente un vantaggio competitivo in quest’ambito[21]. Il Paese mantiene un forte sostegno agli investimenti green, pur limitando il coinvolgimento di investitori stranieri nel mercato ESG domestico. In particolare, la Cina ha adottato una politica nazionale nel 2015 basata su tre pilastri: eolico, fotovoltaico e mobilità elettrica. In particolare, il governo cinese sta investendo massicciamente nella transizione energetica, con 1.600 miliardi di dollari spesi negli ultimi due anni, con l’obiettivo è raggiungere emissioni zero entro il 2060.
Dunque, mentre negli Stati Uniti e in Europa si registrano segnali di discontinuità normativa e politica in materia di sostenibilità, la Cina ha mantenuto negli anni un orientamento più stabile, dimostrando un impegno costante e una volontà decisa nel promuovere gli investimenti ESG.
Conclusioni
L’analisi delle dinamiche post-Trump evidenzia come il calo degli investimenti ESG negli Stati Uniti non possa essere ricondotto unicamente a fattori politici interni, ma piuttosto a un insieme articolato di elementi macroeconomici, regolatori e reputazionali. Il rallentamento già visibile nel 2023 è proseguito nel 2024, aggravato dal rialzo dei tassi d’interesse e dalle crescenti preoccupazioni legate al greenwashing. Questi elementi hanno eroso la fiducia di parte del mercato statunitense verso i prodotti ESG, contribuendo alla perdita di rilevanza di alcuni operatori e alla riduzione dei mandati da parte di investitori istituzionali, soprattutto europei.
In netto contrasto, l’Europa si conferma leader globale nel settore, con una quota dell’84% dei fondi sostenibili a livello mondiale e afflussi netti ancora solidi. Questo risultato è favorito non solo dalla maggiore coesione regolatoria e dall’implementazione di strumenti normativi come le linee guida ESMA, ma anche dalla persistente domanda di lungo termine da parte di investitori previdenziali, universitari e categoriali.
Il retrenchment statunitense ha dunque offerto un vantaggio competitivo agli operatori europei, i quali sono percepiti come maggiormente coerenti con gli obiettivi climatici e con una visione strategica a lungo termine. In tale contesto, si aprono spazi per una crescita selettiva di strumenti innovativi, in particolare fondi ed ETF allineati ai temi tassonomici come biodiversità, capitale naturale ed economia circolare.
Parallelamente, la crescente domanda energetica generata dai data center per l’intelligenza artificiale rappresenta un ulteriore catalizzatore per gli investimenti in energie rinnovabili, attualmente tra le fonti più competitive. Infine, tra le due polarità occidentali, si affaccia la Cina come potenziale attore strategico nella transizione verde, grazie a politiche industriali e finanziarie orientate alla sostenibilità e all’innovazione ambientale.
In sintesi, mentre gli Stati Uniti affrontano una fase di riposizionamento e riflessione interna, l’Europa consolida il proprio ruolo guida, confermandosi fulcro della finanza sostenibile globale e punto di riferimento per i futuri sviluppi normativi e di mercato in ambito ESG.
Andrea Cincinnati, Head of ESG, Cerved Rating Agency Claudia Martinetto, ESG Analyst, Cerved Rating Agency